Lazio, Italia
In uno dei più caldi e più sereni giorni di maggio si faceva il nostro ingresso, dopo mezzogiorno, in Castel Sant’Elia. Una delle più belle e pittoresche parti della campagna romana, è quella che incomincia a Nepi, e si stende fino al Tevere per larghezza […]. Ho sempre trovato belle, sopra tutte, quelle parti della terra italiana, sulle quali non rimasero stampate le suole degli stranieri. Buona o cattiva, è la terra nostra vergine, quale la fece Iddio e non guastata da nessuno. Questa regione, veduta in distanza, sembra una pianura leggermente ondulata: chi invece ci si inoltra, si trova ad un tratto sul ciglio di larghi burroni che solcano il suolo ed in fondo ai quali corre un piccolo torrente. Questi rivi nascono nelle colline di Sutri, di Vico, di Viterbo e dapprima scendono quasi a fior di terra. A poco a poco, si vengono poi avvallando, e serpeggiano in mezzo a queste valli profonde, larghe talvolta più d’un miglio; nè può facilmente concepirsi in qual modo così piccoli rigagnoli abbiano potuto scavare letti tanto estesi e profondi. Ed al contrario, qual altra forza se non l’acqua può averli formati? Le pareti di queste voragini sono per lo più grandiosi squarci di rocce a perpendicolo, talvolta scoscendimenti erbosi o vestiti di boscaglie […].
Massimo D’Azeglio, 1867
(Soriano nel Cimino) Pian de la Britta, che fragor di mare / fan questi tuoi castagni alti e possenti! / Ma l’ombra, sotto, qua e là di rare / luci trafitta, ire non sa di venti, / e tra tanto fragor sospesa pare: / recesso eccelso, a cui la maestà / di questi tronchi immani una solenne, / misteriosa aria di tempio dà; / e quel fragore ad un oblio perenne / di tutto invita […].
Luigi Pirandello, 1909
Vedi come si levi bianco per la neve profonda / il Soratte, come non sostengano più il peso / i boschi affaticati e per il gelo / penetrante i ruscelli si siano fermati. / Scaccia il freddo, ponendo legna sul focolare / in abbondanza e più generosamente (del solito) / versa, o Taliarco, vino puro / di quattro anni dall’anfora sabina a due anse.
Quinto Orazio Flacco, 23 a.C.
La Ciociaria è grande, i suoi confini sono un poco controversi; ma anche a rimanere soltanto nei dintorni di Frosinone che ne è il capoluogo, c’è tutto. C’è la pianura, larga e paciosa, che le molte recenti piantagioni di pioppi hanno curiosamente ravvicinato al settentrione emiliano, lombardo, e c’è la montagna, di quella brusca assai. Tante colline, dappertutto ma più nella zona di Sora, dove ogni cocuzzolo di poggio ha il suo pino italico, dall’ombrello leggermente arrovesciato all’insù, in mezzo ad una vegetazione dalle venti tonalità diverse di verde. Tante città, cittadine antiche. Fiere arroccate ciascuna sul suo colle […].
Alvise Zorzi, 1915
(Arce) Il paesaggio intanto comincia a cambiare. Su la destra le montagne vicine mostrano già i fianchi grigi di selce. Su una di codeste montagne s’aggrappa un paese non molto grande. Un antico castello diroccato, che s’intaglia bruno nel cielo sul vertice del monte, deve avergli dato il nome di Arce. Ora non si veggono più sui fianchi dei monti i lunghi filari di olmi, sui quali si appoggiano i tralci verdeggianti della vite, e su la terra smossa le pannocchie gialle del granturco; ma sullo sfondo grigio e ferrigno delle rocce si contorcono pallidi e monotoni soltanto gli ulivi.
Cesare Pascarella, 1880-1890
(Arpino) I paesani hanno qui una delle loro passeggiate preferite, tra i blocchi grigi di pietra ricoperta di muschio e fiori selvatici. Non si può immaginare niente di più originale di questa passeggiata nella regione delle nuvole, in mezzo a questo scenario di grande roccia. Tra i passeggiatori che vidi, come era una domenica, molti giovani allegri vestiti in abiti di seta sfilavano su e giù, mentre, subito sotto, la montagna cadeva a strapiombo in un precipizio, e il Lazio si stendeva in basso. L’occhio si estende su una vasta immagine di province con le loro innumerevoli montagne e città, ognuna delle quali è piena dei suoi ricordi storici o mitici. Il panorama si estende da Roma, visibile in pianura, ad Arpino, la città paterna di Cicerone, che spicca tra le lontane montagne blu del regno napoletano […]. Mi sono arrampicato oltre le rocce, per raggiungere le famose mura ciclopiche, come in tutte le città latine, le loro lunghe file cingono l’attuale Arx o cittadella, e sprofondano a strapiombo sul precipizio. La disposizione delle loro pietre grezze è perfettamente conservata come se il costruttore fosse stato al lavoro ieri […].
Augustus J.C. Hare, 1876
Molti altri villaggi brillavano sulle lontane colline e, tra i più notevoli di loro, Arpino, la città natale di Cicerone, che domina la bellissima valle di i Liris. Il paese più vicino ora diventava più sassoso e desolato, ma la strada era animata da allegri gruppi di pellegrini che tornavano da una festa della Madonna a Paliano, che ci accolse con il saluto gentile “Santa Maria e San Giuseppe vi salutano”. Finalmente sul bordo di una collina, come uno degli altipiani della Borgogna, venimmo all’improvviso in vista del grande monastero di Casa-mari, che, si dice, con la sola eccezione di Fossanuova, per essere il più bel edificio monastico nel Lazio. Fu quasi una sorpresa che trovammo un edificio gotico perfettamente puro, con una chiesa come una piccola cattedrale del nord, in questa regione selvaggia italiana. È completamente solo, non vicino neppure a una casetta da contadino, una massa di edifici grigi, in piedi sopra il ruscello che scorre dolcemente dell’Amasena. Un acquedotto attraversa la valle e incornicia la prima vista della chiesa e della porta […].
Augustus J.C. Hare, 1876
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