Paesaggi d'Italia

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Terre e marine dannunziane

Abruzzo, Italia

Quando una terra trova un cantore come Gabriele d’Annunzio, con il suo stile e la sua palese capacità evocativa, ha già degli indubbi privilegi. Certo è che le immagini delle marine d’ Abruzzo hanno un loro specifico carattere, meno sfacciato rispetto a tante altre spiagge italiane, meno toccato dalle banalità, in alcuni tratti ancora “vergine” come diceva proprio D’Annunzio. L’offerta di mare è oggi moderna e decisamente articolata su tutti i 150 chilometri di spiagge; sulla costa Teramana, su quella di Pescara, nel tratto particolarmente vicino alla tradizione e alla cultura costiera abruzzese della Costa dei Trabocchi, si ritrovano tutte le forme praticabili e le strutture del turismo balneare moderno. In più ci sono i luoghi che beneficiano per sempre delle descrizioni, o meglio dei sentimenti, del grande e singolare letterato: l’enorme successo che Gabriele D’Annunzio ha avuto in un determinato periodo storico ne ha decretato in numerosi casi la fortuna e la fama nell’immaginario nazionale, eppure la loro innata “discrezione”, pur di fronte alle parole potenti del poeta, sembra rimanere intatta.

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[…] quella catena di promontori e di golfi lunati dava l’immagine d’un proseguimento di offerte, poiché ciascun seno recava un tesoro cereale. Le ginestre spandevano per tutta la costa un manto aureo. Da ogni cespo saliva una nube densa di effluvio, come da un turibolo. L’aria respirata deliziava come un sorso d’elisir.
Gabriele d’Annunzio, 1894
[…] è anche vero che ci sono terre dalle nostre parti, che la storia non ha stancato, insterilito, logorato, e il litorale è proprio la plaga che D’Annunzio chiamò “terra vergine”. Ecco la mia idea, vera o sbagliata che sia è che l’Abruzzo moderno e le fortune di Pescara siano nate allora, con la generazione di Gabriele D’Annunzio. Tutti erano dannunziani a cavallo del secolo e lo furono per molti anni dopo e D’Annunzio quando non serviva di esempio serviva di alibi. Il poeta aveva messo l’Abruzzo di moda, Dopo la Figlia di Jorio la frenesia dannunziana dilagò.
Gian Gaspare Napolitano, 1965
Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all'Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d'acqua natia
rimanga né cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d'avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

Ora lungh'esso il litoral cammina
La greggia. Senza mutamento è l'aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquio, calpestio, dolci romori.

Ah perché non son io cò miei pastori?
Gabriele D’Annunzio, 1903
Proteso dagli scogli, simile a un mostro in agguato, con i suoi cento arti il trabocco aveva un aspetto formidabile.
Gabriele d’Annunzio, 1894