Emilia-Romagna, Italia
Romagna solatia, dolce paese,
cui regnarono Guidi e Malatesta;
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.
Giovanni Pascoli, 1891
Oh benedetta terra di Romagna come eri bella in quel giorno, sotto quel diluvio di luce che veniva dal cielo perlaceo! La pianura, che sfumava lontano nella nebbia della caldura, sembrava un immenso mare biondo, dove sorgessero come isole vermiglie i prati di lupinella e come isole verdi i campi di canapa; gli alberi allineati parevano lunghe fila di giganti che passassero a guazzo; lungi il mare che, riflettendo i raggi del sole, campeggiava di corruscamenti e di scintille, come divino sorriso dell’immensità. E presso alla riva le città apparivano. In fondo Rimini, inargentata come un castello disegnato dal Dorè; Bellaria estiva dimora dei Malatesta; Cesenatico che guarda le barche ondoleggianti sul mare; Cervia, candido nido di sposi, e Ravenna che melanconica sfolgora nella solitudine la sua gloria bizantina; nel piano le case di Cesena che discendono per la costa della Garampa, vigilata dalla rocca sul Savio, come una lieta brigata di scolari sfuggenti il maestro; Forlimpopoli ancora vergognosa della commedia che a suo piacere compose il Passatore; Forlì che innalza i suoi campanili come alberi di vascelli; Meldola, antica baronia degli Orgogliosi; Faenza, superba delle sue industrie, e dopo, la grande vallata del Santerno, dove sotto i pioppi fluviali la casa materna mi aspetta; dietro, le colline coi castelli pieni di poetiche memorie, coi villaggi stesi per le chine come snelle compagnie di bersaglieri.
Giacinto Ricci Signorini, 1889
Laggiù nel crepuscolo la pianura di Romagna. O donna sognata, donna adorata, donna forte, profilo nobilitato di un ricordo di immobilità bizantina, in linee dolci e potenti, testa nobile e mitica dorata dell’enigma delle sfingi: occhi crepuscolari in paesaggio di torri là sognati sulle rive della guerreggiata pianura sulle rive dei fiumi bevuti dalla terra avida là dove si perde il grido di Francesca: dalla mia fanciullezza una voce liturgica risuonava in preghiera lenta e commossa: e tu da quel ritmo sacro a me commosso sorgevi, già inquieto di vaste pianure, di lontani miracolosi destini: risveglia la mia speranza sull’infinito della pianura o del mare sentendo aleggiare un soffio di grazia : nobiltà carnale e dorata, profondità dorata degli occhi: guerriera, amante, mistica benigna di nobiltà umana antica Romagna.
Dino Campana, 1914
L’azzurro Adriatico traspare nella luce dei mattini e ci accompagnerà il suo ricordo nel viaggio di Romagna, un viaggio che si compie fra l’immagine ora lontana, ora più prossima del mare, e l’accompagnamento paziente delle colline, delle coste, di monti, i dorsi cupi, verdi e neri, delle montagne d’Appennino. [...] La natura è qui intorno da ogni parte, è recinta dai monti, sconfinata, fino allo spazio mutevole ed eterno del mare. La natura ogni presente con la forza immota dell’Appennino e con quella fluida e fantastica del mare, stampa una impronta nel carattere degli uomini. Avvicinandoci alla città […] ci rallegrano i fitti orti, coperti di colori felici. Il verde delle insalate, il viola dei cavoli, il giallo delle zucche il rosso vampante delle piante di pomodoro. […] Un tessuto, un disegno elegante composto dall’acqua di cui la Romagna è ricca che riluce e splende nei tramonti estivi. Oppure sono nei terreni in pendio sul petto reclino delle colline, le coltivazioni del garanoturco. […] A settembre cade la vendemmia in Romagna, la vigna si spoglia della sua carne di rubino, di bronzo; rimane l’oro delle foglie e dei tralci di vite. La vite è la coltura eletta, quella del cuore e dello spirito di questa terra.
Giuseppe Raimondi, 1964
Ogni tanto qualche fischio lungo, di trebbiatrice: presso le aie, ogni tanto vampate calde di spighe sgranate. Dietro gli olmi, saliva verso oriente la linea del mare: qualche vela sospesa.
Alfredo Panzini, 1920
(Piana di Romagna intorno a Santarcangelo) [...] tra queste belle terre lavorate, che non hanno pallori di colline lontane e nemmeno oscurità di boschi e non precipizi di forre e di torrenti; ma in vista di belle vie chiare piane e ben battute, che nel giorno son corse senza tregua da carri, da biciclette, da diligenze, [...]. [...] e di questo spirito di silenzio, che permane in tanto verde e in tanto odor di terra arata [...]. Quello che poi ho subito riconosciuto è stato il vento che sempre sa un po’ di mare.
Antonio Baldini, 1913
Dalle punte di S. Marino fino al mar di Bellaria e alla pineta di Ravenna, dal Rubicone al Marecchia, in ogni angolo di questa terra e in ogni aspetto e in ogni forma, dove anch’io mi volga e riguardi, ivi io vedo presente il poeta: in tutte le cose sento le sue memorie cantare.
Sarà forse quel picchiare in cadenza di un pennato sulle corteccie? Laggiù tra i pioppi del mio viale che pare forino il cielo così brulli e rimondi [...].
O forse il grido lungo dei galli che nel vasto silenzio risponde alla cantilena aspra e strascicata delle venditrici di insalatina campagnola; o la festa dei passeri tra le zolle, che sembrano ancora gocciolare dell’ultima neve; è questo bianco di tele, che dalla terra screpolata e scolorita rigettano contro i miei occhi il sole con crudezza tagliente, e domani porteranno dentro le case odore d’erba nascente e di viole; è il fruscio degli aquiloni che salgono e brandiscono il vento sonoro; [...].
Tutto intorno a me sente del Pascoli.
Renato Serra, 1910
(Pineta di San Vitale, Ravenna) La pineta, allora, era foltissima perché gli alberi crescevano assai vicini confondendo in alto gli ombrelli, sicchè ombra e frescura regnavano là sotto e un impressionante silenzio rotto dal chioccolare dei merli e da qualche strido di gazza, che si ripercotevano in echi sonori come sotto volte di cattedrali; [...] il sottobosco non era tanto folto da ostacolare il cammino e anche gli stagni … avevano pochi palmi di acqua; ogni tanto brevi radure interrompevano quell’ombra solenne e quasi paurosa. [...] in quel labirinto di alberi, [...] scese la notte [...] le zanzare mi suonavano sul volto le loro trombine [...] nella larga i grilli cantavano a distesa e mi pareva che quel canto alterno e uguale fosse come l’immane respiro della terra, in pineta le strida sinistre degli uccelli in rapina.
Francesco Serantini, 1952
Un mare verde, e a mezzo il lungo giorno
la terra dove nacqui
spaccate di crepe calde.
Bocche di melagrane sulle siepi;
e la casa dei vecchi tra l’argento
languido degli olivi e il molle suono
dei canneti nel vento.
Sull’aia il grano e la letizia
e il prodigioso canto
dei contadini attenti alla fatica.
Dai muri centenari amica l’ombra
calava dolcemente:
nel suo azzurro respiro
i bianchi capelli del nonno
santa neve splendevano.
Innamorato l’occhio
ai colli volgeva, alle vigne, ai cieli,
in festa l’arcano sorriso,
di mite patriarca.
Giuseppe Ravegnani, 1963
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