Paesaggi d'Italia

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Monti di Sicilia

Sicilia, Italia

È stato giustamente scritto: “quanti sanno che accanto a questa Sicilia abbacinata dal sole e ferma nella contemplazione della propria immobilità ne esiste un’altra dove l’ombra verde dei boschi invita a una più tranquilla e raccolta intimità di pensieri?” È forse vero che alla Sicilia delle montagne, fatta esclusione per l’imponenza naturale e culturale dell’Etna, si pensa poco. Eppure di monti veri, con quote “appenniniche” che arrivano anche intorno ai 2000 metri, nella Trinacria ce ne sono diversi e portano nomi dai bei suoni che sanno di mitologia, creando un repertorio denominativo di tale bellezza che si ha solo in pochissime altre parti d’Italia; si tratta di appellativi che sembrano portare impressi marchi di popolazioni, leggende e stirpi remote. I Nebrodi, le Madonie, ma anche i Monti Erei, i Monti Iblei, i Peloritani e i Sicani. Natura impervia di picchi e balze, prati, estesi boschi di alberi montani, ma anche borghi e piccole città che si aggrappano alle rocce fin quasi a fondersi con esse in spettacolari agglomerati.

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Finalmente! Tre ore dopo che ce l’eravamo assegnata per metà, movendo da Porta Nuova, arrivammo alla piccola casa-club alpina appollaiata sulla punta di Monte Cuccio. E qual veduta si presentò allora ai nostri occhi! Il cielo era senza nubi; l’atmosfera, purgata dall’umidità delle piogge recenti, era così trasparente come l’aria di quelle maestose giornate di ottobre che affinano e sublimano la bellezza di una cascata americana. Guardando giù da Monte Cuccio verso il mare, si contempla una distesa di meravigliosa fertile vallata, rivestita di mandorleti e broli di quei frutti onde la Sicilia, e specialmente la Conca d’Oro, va famosa per tutto il mondo. Per miglia e miglia, nella stagione di primavera, chi si aggira per questa aurea conca, procede traverso un oceano di fiori d’arancio che inebriano l’aria di profumi, i quali rivaleggiano con gli aromi dell’Arabia Felice. Fiori d’arancio dovunque, bianchi come neve, e che luccicano vieppiù bianchi perchè splendono tra un fogliame d’un verde cupo e squisito. Tra le piantagioni di aranci e limoni vi sono pascoli, campi di grano, e giardini, e dove il suolo è misto dei detriti portati dalle acque giù dai colli a terrazzi, belle vigne promettono grande abbondanza di grappoli. […] Il fondo del cielo azzurro dà spicco di alto rilievo a questa sublimità nevosa, e tutto il quadro apparisce distintamente nella luce del sole, squisito di colore, mirabilmente impressivo di contorno e significazione. Lo straniero non ha bisogno di alcun libro di guida nè di esperto alpinista che gli dica qual visione gli surga dinanzi. Dubbioso per un istante, preso poi da uno strano rapimento, lo straniero di fra i tre sclamò forte «L’Etna! » e i suoi compagni, usi a quello spettacolo, ripeterono «L’Etna!» e lo lasciarono alla sua muta ammirazione. Si, quello era l’Etna, e nel suo cospetto tutte le montagne sminuiscono in colli, e tutti i colli in leggiadri poggi. L’occhio non vedeva altro che il cielo, il mare e l’Etna, attraverso leghe e leghe di aria sottile e diafana; così distante, eppure così in apparenza vicino, sembrava che uno avrebbe potuto giungere prima di notte al suo piede e si sarebbe preclusa la vista delle sue nevi eterne. Pertanto tutte le bellezze di paesaggio, di monti e di valli, e la lunga distesa della costa pareano senza espressione alcuna e di ben poca importanza; l’occhio s’indugiava a lungo sull’Etna, attratto irresistibilmente da quel superbo spettacolo.
William Agnew Paton, 1902
La montagna aveva mangiato gli uomini e aveva anche bevuto. Capimmo due cose, in un momento: che questa materia terribile, questo sasso infinito nel quale ci eravamo inoltrati così da perdere di vista ogni cosa che avesse un colore e una forma, era ancora il mondo, benché non ne apparissero il minimo barlume né il movimento, era il mondo. Lontana dal nutrire gli uomini qui la natura ne sorvegliava i passi, per attirarli al suo petto e finirli nel suo abbraccio impassibile. Pietra erano le sue mani, la fronte, gli occhi, pietra la voce, il grembo il latte.
Anna Maria Ortese, 1955
Ma quanti sanno che accanto a questa Sicilia abbacinata dal sole e ferma nella contemplazione della propria immobilità ne esiste un’altra dove l’ombra verde dei boschi invita a una più tranquilla e raccolta intimità di pensieri? I Nebrodi, situati nel tratto centrale e più esteso della catena settentrionale della Sicilia, sono uno di questi angoli nordici. Il bosco di Caronia fatto di querce, lecci, faggi olmi e frassini è il più vasto e il più solenne dell’isola. […] Ma i Nebrodi […] ci portano anche più lontano, fino al grande mistero della preistoria. Nebros in lingua attica significa “cerbiatto”
Marcello Pacini, 1962