Paesaggi d'Italia

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I laghi Lombardi

Lombardia, Italia

Un paesaggio italiano tra i più famosi, protagonista di note pagine della letteratura nazionale e di quelle di innumerevoli diari di viaggio redatti da chi attraversa le Alpi per ammirare il Belpaese. Manzoni è la voce più conosciuta, ma è tanta la fama che i laghi lombardi acquisiscono grazie alla voce di scrittori e poeti che, proprio su questi luminosi specchi d’acqua, trovano come un assaggio, un anticipo delle “delizie” italiane che vanno cercando. Una ben definita estetica lacustre prende forma proprio su questi laghi; qui si definiscono i canoni della bellezza di un paesaggio che ancora sente la brezza e gli stili del Nord ma comincia a stemperarsi in immagini, climi, sensazioni amabili e più “calde” rispetto a quelle dei laghi transalpini. Si può dire che un certo modo aggraziato e “italiano” di mettere insieme spettacoli naturali e opere dell’uomo , come i villaggi, le belle coltivazioni, le grandi ville e i castelli, intere città, trovi nei laghi della Lombardia una delle sue migliori e più chiaramente riconoscibili espressioni. Qui nasce non solo un’estetica, ma anche un repertorio di sentimenti suscitati dalle vedute e dalla vita lacustre : certe atmosfere dolci e armoniose, di mondanità pacata, di riflessioni morbide, di ritmi di vita indulgenti, trovano casa sulle sponde dei laghi lombardi.

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Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’ altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda ricomincia, per ripigliar poi il nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di San Martino, l’altro con voce lombarda il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio, di su le mura di Milano, che guardando a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo la costa sale con un pendio lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in spianate, secondo l’ossatura de’ due monti, e il lavoro dell’acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci dei torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna. Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio, giace poco discosto dal ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa; un gran borgo al giorno d’oggi, e che s’incammina a diventar città. Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche un castello e aveva perciò l’onore d’alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e sul finir dell’estate non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l’uve e alleggerire ai contadini le fatiche della vendemmia. Dall’una all’altra di quelle terre, dall’altura alla riva, da un poggio all’altro, correvano, e corrono tuttavia, strade e stradette più o men ripide, o piane; ogni tanto affondate, sepolte tra due muri, donde, alzando lo sguardo, non iscoprite che un pezzo di cielo o qualche vetta di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti: e da qui la vista si spazia per prospetti più o meno estesi, ma ricchi sempre e sempre qualcosa nuovi, secondo che i diversi punti piglian più o meno della vasta scena circostante, e secondo che questa o quella parte campeggia o si scorcia, spunta o sparisce a vicenda. Dove un pezzo, dove un altro, dove una lunga distesa di quel vasto e variato specchio dell’acqua; di qua lago, chiuso all’estremità o piuttosto smarrito in un gruppo, in un andirivieni di montagne, e di mano in mano più allargato tra altri monti che si spiegano, a uno a uno, allo sguardo, e che l’acqua riflette capovolti, con paesetti posti sulle rive, di là braccio di fiume, poi lago, poi fiume ancora, che va a perdersi in lucido serpeggiamento pur tra monti che l’accompagnano, degradando via via, e perdendosi quasi anch’essi nell’orizzonte. Il luogo stesso da dove contemplate que’ vari spettacoli vi fa spettacolo da ogni parte: il monte di cui passeggiate le falde vi svolge, al di sopra, d’intorno, le sue cime e le balze, distinte, rilevate, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contornandosi in gioghi ciò che v’era sembrato prima un sol giogo e comparendo in vetta ciò che poco innanzi vi si rappresentava sulla costa: e l’ameno, il domestico di quelle falde tempera gradevolmente il selvaggio, e orna vie più il magnifico dell’altre vedute.
Alessandro Manzoni, 1827
A quale di questi laghi si darà la palma della bellezza? Questa domanda può essersi spesse volte presentata alla mente di chi viaggia nella bellissima regione che va da Orta al Garda: dal piccolo lago di Orta con la sua isola, splendente quale gemma, e le rosse rocce di granito e i prati ombrosi di castagni, al Garda distendentesi maestoso da Desenzano o dalla poetica Sirmione in un’argentea sognante vaporosità di colline, di nuvole, di cielo e di limpide acque azzurre. E fra questi due punti estremi, che varietà di bellezza nel grande lago Maggiore, nel serpeggiante lago di Como, e in quello di Varese, ridente specchio rivolto al cielo, e in quello d’Iseo, lontano fra le Alpi rocciose! Chiama lo spazio immenso, le ombre delle nuvole veleggiano lentamente sui pendii azzurri, chi ama isole e giardini, e l’occhieggiare lontano delle montagne coperte di neve, e il respiro, l’aria, l’immensità e la piena luce del sole, sceglierà il lago Maggiore. Ma appena avrà dato il proprio voto a questa Giunone delle tre divine rivali, egli ricorderà la triplice bellezza di Afrodite, del Lario, dischiusa in tutta la sua grazia serena dalla villa Serbelloni; ricorderà il verde-turchino delle sue acque chiare come vetro, le rose rampicanti sui cipressi di Cadenabbia, le arcate di oleandri di Varenna, le bianche rocce di San Martino, su cui è salito per saziare i propri occhi della vista magica, serena, leonardescamente perfetta, delle lontane chiuse d’Adda. E allora, mentre questo moderno Paride è ancor dubbioso, ecco che forse il suo pensiero ricorre al severo solitario lago d’Iseo, Pallade fra i tre laghi, il quale offre anch’esso attrattive da tentare eroici amanti: il sublime monte Adamello, che domina Lovere e tutta la pianura, come il monte delle virtù di Esiodo dominava eccelso sulla pianura della vita comune. Ne il lago di Varese può essere dimenticato. Secondo alcuni aspetti pittoreschi il lago di Varese è il più perfetto di tutti i laghi: quelle lunghe linee di ondulate colline che scendono sull’acqua offrono un’infinita serie di placidi primi piani, graziosi all’occhio per il contrasto con le dominanti cime nevose, dal monte Viso al monte Leone verso sud, l’orizzonte è frastagliato da campanili e da fattone, mentre nuvole a frotte vagano nello spazio fra le Alpi e il piano.
J.A. Symonds, 1874
(Lago di Como) Sulla punta del promontorio dal quale si dominano, come dalla prua di un’alta nave, le rive settentrionali del lago, regnava una vasta calma. L’elegante e snello profilo dei grandi pini italiani, i pini parasole, si disegnava sul cielo. I giardini che li circondavano erano immersi in un pulviscolo d’atomi luminosi. I tronchi scarni degli olivi spiccavano più neri sull’orizzonte; ma l’ombra sotto il loro fogliame aveva sempre la medesima dolcezza virgiliana. Talvolta, quando spirava il vento, flutti argentei si propagavano attraverso i rami ondeggianti. Era l’ora in cui la luce è stanca, in cui il sole declinante ama indugiarsi sulle cose e attenervisi prima di sparire, quasi volesse fissare, per un momento, la sontuosa scena che esso illumina. L’immensa distesa liquida rifletteva, come uno specchio, i toni d’oro e di rame che il cader del sole diffondeva su tutte le cose. Le montagne si sfumavano in tinte opulente e calde, si rivestivano di una parete di metallo sfolgorante. Sulle rive vermiglie le borgate riposavano in aloni di luce. In quelle vicinanze si stendevano, allo sbocco di Val d’Esina, gli splendidi giardini di Varenna. Sottili linee chiare lasciavano indovinare i villaggi lontani, ammonticchiati sulle rive come branchi di gabbiani: Rezzonico e il suo vecchio castello, Gravedona, Dervio ai piedi del Legnone aguzzo. Un battello bianco, così piccolo visto dall’alto, da sembrare quasi una barca, correva celere verso Menaggio, lasciando dietro di sè un triplice solco, che andava allargandosi a perdita d’occhio
Gabriele Faure, 1905
(Lago di Como) Ma di solito il bordo estremo della riva è formato di allori, di mirti, di fichi selvatici e olivi che crescono nei crepacci delle rocce, sovrastano le caverne, e ombreggiano le vallette profonde circonfuse dalla luce scintillante delle cascate. Vi crescono pure altri cespugli fioriti di cui non so il nome. In alto i campanili delle chiese dei villaggi spiccano bianchi fra il cupo delle foreste. Più in là, sulla riva opposta, a sud, le montagne scendono meno ripide, sebbene siano molto più alte e alcune coperte di nevi perpetue; fra esse e il Iago si estende una fila di colline più basse, formanti altre vallette e altri crepacci, quali io immagino siano gli abissi dell’Ida o del Parnaso. Qui sono piantagioni di olivi, di aranci, di limoni, ora così carichi di frutti, da sembrar vi siano più frutti che foglie, e di vigne. Questa riva del lago è un continuo succedersi di villaggi; e la nobiltà milanese ha qui le sue ville. La fusione fra il coltivato e la selvaggia profusione e bellezza della natura è così completa, che difficilmente può distinguersi la linea che li divide. Guardate: da un lato è la montagna, e immediatamente al di sopra di voi gruppi di cipressi di stupefacente altezza, che sembrano perforare il cielo. Su di voi, dalle nuvole, cosi sembra almeno, scende una immensa cascata, frangentesi contro una rupe boscosa in mille canaletti che scendono al lago. Dall’altro lato si vede la estesa superficie azzurra del lago e dei monti punteggiati di vele.
P.B. Shelley, 1818
(Il Lago di Como) O bel lago! Tu rifletti nel tuo limpido azzurro il più bel fiore del cielo e della terra. In te si specchia la natura e compiacesi, come il Narciso della favola della propria bellezza. Quali ombre incantevoli non ispandono i verdi clivi ogni intorno nelle serene tue acque! Il dolce canto degli animali nei fitti boschetti sveglia nel cuore le sorgenti della gioia a un tempo e della melanconia. […] Qui tu vedesti la natura in veste e ghirlanda nuziale, leggiadra sempre nel lume lunare e crepuscolare, o sublime maestosa nei corrucci fugaci della tempesta. Nella sua eterna giovinezza, in tutto il fascino della sua immortale bellezza ella, come già a te, mi sta ora dinanzi; e beato chi può indugiarsi nei suoi amplessi in questo liquido talamo di delizie.
Barone di Wessenberg, 1834-1844
Quanto vorrei avere i miei amici accanto per godere insieme del panorama che mi si presenta davanti! […] mi si prometteva allo sguardo un’opera ammirevole della natura: il meraviglioso lago di Garda.
W. Goethe, 1786
L’azzurra indifferenza del Garda, eterna da eterno mattino, crudele, un poco, per quel suo specchio teso e brillante che così raramente s’incrina, scoppia nel silenzio dell’ora. […] la luce riverbera intensa dallo scudo dell’acqua e pare condizionare a sé pacificamente la terra che corre a occidente. Gli orizzonti sono vasti, bianchi e tremano lontani; nell’aria lucidissima si profila tutta la riva sinuosa, caricata di piccoli paesi, ville, palazzi, alberghi, conventi, castelli, pietre antiche, monumenti di marmo. […] Tutto infatti è remoto e non selvaggio, si respira l’ozio e il pulito benessere di luoghi di villeggiatura degli “anni trenta”. […] Ma la perfezione dell’attimo nasconde un suo piccolo dramma. A tratti l’armonia si dissocia, come un volto che da serio e composta si contragga mostrando le sue imperfezioni. E’ l’azzurra indifferenza del Garda che sfodera una grandezza, marina nell’assoluta mancanza di confini visibili, e pare tutta lacustre, invulnerabile perché contenuta, accerchiata, convergente; e con essa respinge, pur rifrangendola con grazia, l’eterogeneità storica della sua costa. […] E a un occhio attento si rivela come tra acqua e costa oscilli, da secoli, un inerme alternarsi di ostilità e di armistizi. […] Segreti contrasti tra storia e natura. Ma innocui, quali possono essere, appunto, i contrasti di un mattino di pace. Follia della lunga commedia estiva che il lago – sempre più azzurro ridendo – nuovamente controlla in una elegante unità di tempo e di spazio. Stamani, per tutta la costa, linfatica fioritura di primavera, metà umana metà vegetale […] Lontanissimo, un temporale tintinna l’aria come vetro urtato sott’acqua.
Laura Papi, 1963