Sardegna, Italia
Prima specie di stagni - La prima comprende gli stagni che comunicano con il mare, sia per mezzo di tagli fatti ad arte, sia per via d’un ruscello o d’un canale qualunque. [...] fra gli stagni principali di questo genere è quello di Cagliari detto della Scaffa … . in queste acque si riuniscono dal principio dell’autunno, per svernare, stormi innumerevoli di uccelli acquatici, tra cui si distinguono a migliaia le anatre, le gallinelle, i fenicotteri, gli aironi, i cigni e qualche volta i pellicani. Quando dominano i venti del nord, le barche piatte più leggere non possono navigare su questo stagno, [...]. Perciò i fenicotteri, che non nuotano ma solo poggiano le zampe lunghe sul fondo fangoso, si tengono al centro dello stagno dove hanno ancora più di mezza coscia scoperta.
Alberto della Marmora, 1839
Ma lo spettacolo più straordinario dello stagno è il vedere nei giorni sereni planare e manovrare sopra l’acqua gli stormi numerosi dei fenicotteri il cui bel piumaggio rosso si staglia nell’azzurro del cielo e di cui le ali fiammeggianti mandano da lontano un gran riflesso al sole. Quando ritornato dall’Africa, verso la metà di agosto, dopo la migrazione alla fine di marzo, questi brillanti squadroni si compongono spesso di oltre 12.000 uccelli; nel 1835, la popolazione dello stagno arrivava a 250.000 esemplari, secondo una statistica fatta nei loro insediamenti, le zone cioè che questi uccelli abitualmente non lasciano se non per la paura dei cacciatori o il bisogno di un’acqua più dolce.
Valery, 1834
Nella parte meridionale della Sardegna la primavera comincia a novembre e termina a maggio. La spiegazione si trova nel fatto che la Sardegna guarda verso l’Africa, da cui non dista molto. Ne subisce perciò le correnti calde e fredde che il mare mitiga, tanto che ad eccezione di qualche settimana rigida per le sfuriate di tramontana o di maestro, l’inverno, quello del calendario, scorre tiepido, inondato di sole; le nubi, quando salgono dall’orizzonte, scaricano in fretta la pioggia e poi se ne vanno. Le vaste distese del Campidano si rivestono allora di tenero verde. La natura respira di nuovo dopo la lunga torrida estate.
Mario Ciusa Romagna, 1963
Per la violenza e la durata, il maestrale produce un effetto notevole sull’aspetto di molti alberi delle parti centrali ed occidentali dell’isola situati sulla cresta o sul dorso d’una montagna; questi alberi, esposti alla sua azione continua, offrono in generale nella loro chioma una forma bizzarra, che si può paragonare ad una capigliatura ondeggiante in direzione orizzontale, che, arrestata nel suo movimento, ne abbia conservata la direzione: i germogli, e le foglie che li coprono, sono girati verso sud-est, mentre i rami del lato opposto sono nudi; il tronco dell’albero è contorto, rattrappito e pure inclinato nella stessa direzione. L’olivo selvatico od olivastro, diffuso ed abbondante in questi luoghi, il pero selvatico ed il pino marittimo, meglio resistenti all’impeto del maestrale, prendono più facilmente questo aspetto singolare. Varie volte la direzione uniforme di questi alberi mi ha servito per orientarmi, quando, nelle mie corse, mi trovavo solo e quasi smarrito in mezzo a terreni vergini e selvaggi, dove si passano le giornate intiere senza incontrare traccia alcuna d’abitazione.
Alberto della Marmora, 1839
Sulle coste sulcitane il Mediterraneo sfoggia il campionario delle sue attrattive. Rammenta i faraglioni negli scogli del Pan-di Zucchero dinanzi a Xebida. Le coste verdi di pini di Saint-Tropez e di Saint-Raphael lungo le spiagge di Porto Pino e si smarrisce nelle fantasie di una pietra rossa che sa d’inferno dantesco alla punta delle Colonne, nell’isola di San Pietro. Pochi punti del Mediterraneo raggiungono la bellezza di queste rive,sia che il sole splenda ed imbianchi come atolli gli scogli e le isole lungo la rotta dei tonni tra Portoscuso, l’isola Piana e La Punta, sia che le coste spumeggino sotto i feroci venti di ponente. Quella delle rive del golfo di Palmas non è la consueta bellezza delle località alla moda o del pittoresco domestico, ma è una bellezza nella quale si mescolano l’irrazionale e l’orrido, la solitudine, l’assurdo e il silenzio dei deserti e un vago presagio d’Africa.
Francesco Alziator, 1963
(Oristano)
E sognò una diversa riva
Fra due rovine: il mare infaticabile
Abbracciava la terra che gli offriva
I suoi gigli languenti, e sole e cielo
Folgoravano flammei un immutabile
Riso alla terra e al mare. Là, tra i veli
Del Tirso, la città degli arborensi
Dormia: bella per le sue case tacenti
Quali sepolcri, tra profondi incensi
D’orti, lungo silenziose vie
Cinte di palme: mesta di piangenti
Campane: soavissima per pie
Rosee mattine, in vago chiuso e aulente
Di viole e di mandorli: solenne
E sacra per il tempio che contenne
In faccia al mare, il dio di nostra gente.
Sebastiano Satta, 1963
(Mandas) Il treno correva sopra la pianura [...]. E vagabondammo nel primo paesino. Era fatto di case in mattoni cotti al sole, spessi muri di recinzione in addobbi, attorno ai giardini, sormontati da colmi di tegole per ripararli dalla pioggia. Nelle zone recitante c’erano scuri aranci. Ma i paesi del colore dell’argilla, di argilla essiccata, sembravano stranieri: sembrano la cosa più vicina alla nuda terra, tane di volpe o colonie di coyote. È straordinario come queste colline ricoperte d’erica, simili alla brughiera scendano fino al mare; straordinario come siano ricoperti di macchia e disabitati i grandi spazi della Sardegna. È selvaggia, con l’erica, il corbezzolo e una specie di mirto alto fino al petto. A volte si vedono pochi capi di bestiame. E poi di nuovo ecco i campicelli grigiastri, arabili, dove viene coltivato il grano. È come la Cornovaglia, come la regione ai confini della Terra. A volte c’è solo un uomo lontano, che risalta vivido nel suo costume bianco e nero, piccolo e remoto come una gazza solitaria, curiosamente nitido. Tutta la strana magia della Sardegna sta in questa vista. Tra le basse colline simili alla brughiera, in un avvallamento del vasto paesaggio, una figura solitaria, piccola, ma di un bianco e nero vivido, che lavora sola, come fosse per l’eternità.
David Herbert Lawrence, 1921
(Fiume Temo, vicino a Bosa, dintorni Oristano) una gita in barca sul Temo è una delle passeggiate più deliziose che si possano fare: in alto sui monti, colonne di basalto che sembrano rovine di città e di templi sepolti; in basso cotogni, e olivi e melagrani e aranci e palme che scendono fino a bagnarsi nell’onda del fiume.
Paolo Mantegazza, 1869
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