Paesaggi d'Italia

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Appennini d'Emilia e di Romagna

Emilia-Romagna, Italia

Monti spesso sontuosi che fanno da corona alle città della piana, e raccontano un’Emilia diversa, fatta di luoghi solitari ma luminosi, vestiti di grandi boschi, tutti attraversati da vie verdi e sentieri antichi, di cime alte dove l’inverno può farsi lungo e capace di attrarre tanti con le sue nevicate forti o gentili, a seconda delle altitudini e degli anni. Monti di confine: con la Liguria e anche, proprio in cima, con la Lombardia e il Piemonte, e poi con la Toscana; incrocio di civiltà e culture che dall’Appennino hanno preso la solidità della pietra e il calore del legno, conservando gelosamente qualcosa di selvatico e dignitoso. Poi c’è una parte di Romagna forse meno conosciuta, un angolo spettacolare di natura e di cultura arrampicato sui monti, dove i boschi con tanti secoli di vita vanno a confondere i confini selvatici con la Toscana e le Marche. E’ quella parte che si spinge verso il cuore antico d’Italia con il suo Parco delle foreste Casentininesi, Monte Falterona e Campigna, dove si respira l’aria tutta speciale del Montefeltro, un’aria che profuma ogni giorno e dappertutto di Rinascimento, paesaggi armonici, luoghi densi d’arte, umanità e nobiltà, di ritmi particolari, di modi di essere segnati da una bellezza sparsa ovunque, così diffusa e quotidiana da diventare uno stile di vita.

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Qualche anno fa durante un viaggio in Italia, Hemingway disse che la strada della val Trebbia è la strada che attraversa “uno dei più bei paesaggi del mondo”. La cosa non deve meravigliare. Il paesaggio delle valli piacentine potrebbe esser lo sfondo a "Quarantanove racconti” italiani, il luogo ideale di uno scrittore vitalista. Le guide ufficiali consigliano di vederlo attraverso tappe molto storiche […]. Mai paesaggio piacentino guadagna di più se viene visto attraverso una fisica felicità o una fisica partecipazione. Per capirlo occorre andare a pescare le trote nell’Aveto. Metter in fresco una bottiglia di vino bianco tra i sassi e guardare le trote che saltano nel torrente. Oppure passeggiare in collina d’estate. […]Perché qui l’Appennino non è più aspra, tagliente montagna: il crinale solitario che divide due Italie. Mescola il sasso grigio della Liguria alla violenza dei calanchi sabbiosi del Parmense, i boschi a certi prati umidi e molli d’acqua, anche a mille metri. Il paesaggio delle valli piacentine è un mondo folto, pieno, ricco di vita, quasi vergine. Qua i contadini hanno nella voce di tre dialetti, il ligure, l’emiliano, il piemontese. Linguaggio e carattere sono come diamanti a più luci. L’allegria, la sensualità dominano certo l’atmosfera, come in tutta l’Emilia.
Alberto Cavallari, 1961
La città (Parma) sta nel punto giusto della provincia, dove la Bassa che emerge dalla caligine del Po ricca di umori nella terra e negli uomini (vi nacque Verdi), cede a una pianura lievitante verso colline azzurre segnate da castelli fieri ed eleganti, fresche per incanalarsi di correnti d’aria, impagabili nella stagionatura di prosciutti rosa, dalla carne dolce dal profumo inebriante. Sempre salendo si entra nell’Appennino su, su fino al crinale che divide l’Emilia dalla Toscana e che occhieggia di laghi: una distanza infinita dal Po e dai paesi rivieraschi, anche per quel che riguarda la gente, che ormai ai confini sente nell’accento di Toscanella.
Attilio Bertolucci, 1961
[...] la cima emergeva dalla fumea di quelle nubi che in basso pareano sospinte dagli angeli delle tenebre. E in quel momento, come ad un cenno, la tempesta sfinì. Scure, immobili ristettero le nubi più alte, ingombrando tutta la volta del cielo. Solenne silenzio si fece.
A un tratto quell’immenso buio emisfero si sollevò, e tutt’attorno all’orizzonte il sereno apparve come un sottile anello di luce d’oro a trasparenza zaffirina. Cento e cento vette dell’Appennino sorsero su per incanto come isole sopra un liscio mare di nubi immobili. Intanto da una invisibile fenditura dell’alto buio scendeva una frangia di sole a lunghi raggi. E muovevasi per l’aria ancora fosca, appena lambendo terra.
Ravvolto in quel preludio incantevole di luci e di colori unico spettatore, gridavo invano all’istante fuggente che si fermasse. Invano, perché il prodigio si ritrasse nel cielo. Il vento riprese, il mare di nubi si sciolse accavallandosi, le nebbie scesero frettolose incalzandosi per le valli; l’Appennino si illuminò di un sole bellissimo.
Alfonso Rubbiani, 1881
(Appennino emiliano, Pazzano) Il paese appollaiato su di una costa scendente dalla cima di Monfestino e lanciato verso un gruppo di colline gialle di frumento, pareva vestito a festa come le contadine. … gli alberi, le siepi dei piccoli giardini brillavano di un verde primaverile, [...] le montagne cominciavano a immergersi nella calura azzurra e a farsi più leggiere e più basse, dalla parte della pianura, il fiume luccicava come un rigagnolo tortuoso di argento liquido.
Guido Cavani, 1958
La regione parmense è, del resto, tra le più varie che si possano immaginare. Dalla pianura padana infocata d’estate da un sole sanguigno e violento, immersa d’inverno nelle nebbie che nascono dal fiume, ma grassa, ma ricca, ma ubertosa, è breve l’ascesa alle pendici appenniniche ora vertiginosamente scoscese, ora scavate di valli profonde, di forre, di anfratti boscosi, sparse di villaggi raggrumati intorno ai ruderi dei castelli, intorno alle chiese che sono, sovente, antichissime e, altrettanto sovente, di nobilissima architettura. Regnano nella pianura i frutteti, le vigne, i maggesi, vi stormiscono a migliaia, slanciati, elegantissimi, i pioppi, vi si allineano folte le siepi, fiorite di primavera e d’estate, componendo un quadro che conosce ogni più raffinata tonalità di verde. La montagna, là dove il bosco naturale o il sistematico rimboschimento non la contendono all’erosione degli agenti atmosferici, sviluppa invece i più intensi, affocati colori della tavolozza di un Van Gogh. Pochi paesaggi in Italia sono così intensamente, vorremmo dire così violentemente pittorici, come quello che si stende a perdita d’occhio fra il Taro e l’Enza lungo il contrafforte delle montagne. Pochi sanno essere più aspri e insieme più romantici.
Alvise Zorzi, 1961
Il paesaggio di montagna è molto vario e suggestivo e ricorda, in vari tratti quello alpestre. Particolarmente nota è la Pietra di Bismantova (m. 1.047). Questo enorme sasso arenaceo si presenta d’improvviso, al centro della vallata, con le nude pareti verticali e la superficie piana verdeggiante. Stupendo è lo spettacolo che si offre allo sguardo: nelle giornate nitide l’enorme pietra si staglia smaltata, quasi astratta; mentre il suo aspetto diventa fantasticamente minaccioso e fosco, quando fra valle e cielo trascorre un temporale, e nei giorni in cui la nebbia si stende come un mare grigio nella vallata, chi si trova al di sopra, in alto verso Cervarezza, può vedere emergere questo prodigio della natura.
Athos Porta, 1961
(Appennino bolognese) Ma Monghidoro è il nome moderno di un antico nome, superbo e plebeo: Scaricalasino! [...] dopo [...] veniva l’alpestre passo della Futa; e il Mugello; e le ginestre; e i grandi vèrtici dei monti. E questa era un’idea rinfrescante. L’automobile risale la valle bellissima della Savena; lascia giù la bassa landa, corre su verso la freschezza dell’Appennino [...]. Respireremo l’aria fresca, berremo le acque purissime [...].
Alfredo Panzini 1920
Come quel fiume c'ha proprio cammino
prima del Monte Viso 'nver levante,
da la sinistra costa d'Apennino,
che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante,
rimbomba là sovra San Benedetto
de l'Alpe per cadere ad una scesa
ove dovea per mille esser recetto;
così giù d'una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell'acqua tinta,
si che 'n poc'ora avría l'orecchia offesa
Dante Alighieri Inferno, Canto XVI
Il territorio romagnolo comprende una larga distesa pianeggiante, una fascia collinare ed una aggrovigliata radice montagnosa. Da questa scendono al mare con rigurgiti torrentizi, otto fiumi che hanno gradualmente formato una pianura densa di umori: in questa i romagnoli tendono a identificarsi[...]. Si parla poco della montagna romagnola nella quale la terra è tanto diversa, anche se la gente è uguale, con identico temperamento e medesimo linguaggio [...] Dalle giogaie dell’Appennino, tra il passo della Futa e il monte Carpegna, si apre un ventaglio di vallate strette e ripide che si insinuano tra scoscesi e nudi contrafforti montani. Benchè conquistate dall’uomo da tempo immemorabile, esse non sono contrassegnate da abbondanti reperimenti archeologici [...]. esse sono però avvolte nelle narrazioni semifavolose di una vecchia cultura immaginosa che testimoniano comunque di antichi sviluppi.
Armando Ravaglioli, 1986
(Appennino Faentino) Giallore di ginestre fra le genghe dell’Appennino; e guardando in giù in fondo ai viadotti, si vedevano gore lustreggianti; e in fondo ai botri, e su le aree pendici si vedevano bianche pecore in piena pace pascenti. [...] Bello questo paesaggio aspro dell’Apennino: esso è rimasto forse come era più di mille anni fa, [...] paesaggio immoto nelle età, attraversato adesso da questa carrozza di ferro [...].
Una gran tenerezza mi trascinava dal treno fuggente verso quei ruminanti coperti di vello duro, brucanti gli odorosi mentastri, beventi acque pure [...].
Strano è anche come i vecchi castelli, i vecchi borghi si confondano con il colore delle rocce. Le torri sembrano ricami della terra: tutto si confonde nella terra.
Alfredo Panzini, 1920
(Tra Romagna e Toscana) La Falterona è ancora avvolta nella nebbia. Vedo solo canali rocciosi che le venano i fianchi e si perdono nel cielo di nebbie che le onde alterne del sole non riescono a diradare [...]. Guardo oppresso le rocce ripide della Falterona: dovrò salire, salire [...].
La Falterona verde nero e argento: la tristezza solenne della Falterona che si gonfia come un enorme cavallone pietrificato, che lascia dietro di sé una cavalleria di screpolature, screpolature e screpolature nella roccia fino ai ribollimenti arenosi di colline laggiù nel piano di Toscana.
L’ultimo asterisco della melodia della Falterona s’inselva nelle nuvole. Su la costa lontana traluce la linea vittoriosa dei giovani abeti, l’avanguardia dei giganti giovinetti serrati in battaglia, felici nel sole lungo la lunga costa torrenziale. In fondo, nel frusciar delle nere selve sempre più avanti accampanti lo scoglio enorme che si ripiega grottesco su se stesso, pachiderma a quattro zampe sotto la massa oscura: la Verna.
Ascolto. Le fontane hanno taciuto nella voce del vento. Dalla roccia cola un filo d’acqua in un incavo. Il vento allenta e raffrena il morso del dolore lontano. Ecco son volto. Tra le rocce crepuscolari una forma nera cornuta immobile mi guarda con occhi d’oro.
Laggiù nel crepuscolo la pianura di Romagna.
Dino Campana, 1913
Alle nostre spalle ribolle il massiccio dell’Appennino le cui rocce, i picchi, le cime si mescolano in un tumulto pittoresco. Le valli si infossano profonde con i loro torrenti che corrono su letti di ghiaia grigia. Qua e là spuntano dei villaggi. Alcuni sfidano il cielo e sono appollaiati su alti spuntoni di roccia come […] San Leo, dove il famoso Cagliostro conobbe le delizie della prigione; Verucchio, culla dei Malatesta e poi il territorio di San marino, così limitato, così sparuto in questa immensità di terre e di montagne che sembra di poterlo tenere sul palmo della mano […].
Dominique Durandy, 1914
(Alta Val Marecchia) Una volta d’agosto, avevano fatto la fiera a Casteldelci, un paesino senza strade tra i monti, e la mattina dopo, che era domenica, salivano di buona ora verso le Balze che son proprio sotto il Fumaiolo, dove nasce il Tevere. Scolmato un colle dietro l’Aquilone si fermarono per riposarsi alle fonti del Senatello dette così perché il torrente, che va nella Marecchia, erompe da uno squarcio della montagna con un getto scrosciante e freddissimo. [...] Non c’era anima viva, la piccola valle verde piena di fiori selvatici sembrava il paradiso, [...] si addormentarono profondamente cullati dalla sinfonia dell’acqua che a furia di venir giù da secoli ha la voce monotona.
Francesco Serantini, 1952
(Entroterra riminese) Quale splendido osservatorio! La strada dalla quale siamo venuti svolge il prorpio interminabile nastro di polvere bianca attraverso il verde della campagna e raggiunge Rimini, oziosamente distesa laggiù, tutta rosa, in riva all’Adriatico, le cui acque color turchese segnano l’orizzonte. Lungo la costa altre cittadine sorridono nella luce tenera, simili a fiori portati a riva dall’onda carezzevole. Alle nostre spalle ribolle il massiccio dell’Appennino le cui rocce, i picchi, le cime si mescolano in un tumulto pittoresco. Le valli s’infossano profonde con i loro torrenti che corrono sui letti di ghiaia grigia. Qua e là spuntano dei villaggi. Alcuni sfidano il cielo e sono appollaiati su alti spuntoni di roccia, come Pietrarubbia, quasi sempre avvolta da un serto di nubi; San Leo, dove il famoso Cagliostro conobbe le delizie della prigione; Verucchio, culla dei Malatesta, e poi il territorio di San Marino, così limitato, così sparuto in questa immensità di terre e di montagne che sembra di poterlo tenere sul palmo della mano.
Dominique Durandy, 1914
(Entroterra riminese) Da San Marino la strada precipita a rotta di collo. Adesso ci troviamo nell’autentica regione montefeltresca, da dove discesero i conti di Montefeltro nel dodicesimo secolo. Il lontano nido d’aquila è San Leo che costituiva la chiave d’accesso al ducato di Urbino nelle campagne combattute centinaia di anni fa. Situata sulla cima di una roccia scoscesa, questa fortezza sembra poter sfidare qualsiasi nemico, tranne la carestia. E tuttavia San Leo venne conquistata e riconquistata con l’inganno, quando Montefeltro, Borgia, Malatesta, Della Rovere si contendevano il dominio di queste valli. Quella laggiù è Sant’Agata, il paese verso il quale Guidobaldo fuggì di notte, allorchè il Valentino la cacciò dal suo ducato. Un po’ più lontano s’erge Carpegna, dove un ramo dei Montefeltro conservò una contea per sette secoli e vendette il suo feudo soltanto nel 1815. Monte Copiolo si trova dietro, Pietrarubbia di fronte; sono due altri nidi d’aquila della stessa covata. Che strada! Supera in peggio i sentieri dell’Exmoor. Il saliscendi del Devonshire sdegna ogni compromesso e non ricorre a deviazioni o a zig-zag.
John Addington Symonds, 1874-1886
(Entroterra riminese, alta Val Marecchia) Fino ai piedi delle montagne alle spalle di Rimini s’apre un’ampia valle densamente coltivata. Non sempre l’occhio forestiero riconosce il verde dolce ed intenso, sempre bello comunque. Sulla sinistra, verso il cielo, appare sospesa ma ben piantata la piccola San Marino, la minuscola repubblica la cui sopravvivenza attraversa epoche di drammatici mutamenti è sempre motivo di sorpresa e di meraviglia, e su entrambi i lati si levano, dal verde sottostante, dei picchi rocciosi. Dopo un po’ i cavalli smettono di trottare, ma procedendo arrancando su pendii sempre più ripidi e mentre il verde si fa meno intenso e incombono le ossute montagne e spuntano qua e là, rozze escrescenze della strada, gruppi di casolari di pietra. Se dall’esterno appaiono dimore ruvide e austere, all’interno ostentano l’amore per la bellezza, poiché alle finestre hanno vasi di gerani che allungano i loro esili steli spigolosi coi fiori in boccio in cerca del sole. Alla fine, superata la gobba di una collina, apparve all’improvviso San Leo, strano paese spazzato dal vento, posto in alto nell’occhio del cielo, come un eremita sulla colonna [...]. Posto in una zona dalla curiosa formazione geologica, è il punto più ardito ed elevato del circondario, dove onde di verde si tramutano in creste di pietra, in picchi e in obelischi di roccia scaturiti all’improvviso dal rollio di valli montane coperte d’erba vellutata.
Katharine Hooker, 1902